Un
            passato che ritorna. Dicevi
            turbobenzina e subito pensavi potenza. Una volta era così,
            nell'epoca dei turbo brutali e delle berlinette leggere e
            pepatissime su cui fantasticavano i giovani degli anni Ottanta. Poi,
            per un po' di tempo, la sovralimentazione nei motori a benzina è
            stata spinta ai margini della scena (e del mercato), ritagliandosi
            sì una sua nicchia ma senza più spopolare come in quegli anni
            pioneristici in cui le turbine approdarono anche in Formula 1. Sino
            a quando, un bel giorno, ciò che era uscito dalla porta è
            rientrato dalla finestra, spinto da esigenze diverse, rispondendo a
            necessità differenti. Turbo e potenza non più un binomio
            necessario, anche perché a partire dagli anni Novanta la potenza si
            è riusciti a tirarla fuori pure da propulsori aspirati sempre più
            evoluti, capaci di vivere a regimi di rotazione elevati e - dato non
            indifferente - decisamente più godibili e regolari rispetto ai
            sovralimentati. Tutto bene, fino a quando l'incremento esponenziale
            dei pesi delle auto e le sempre più asfissianti normative
            ambientali non hanno fatto tirar fuori dalla soffitta proprio quella
            sovralimentazione che da tempo era stata quasi accantonata. Ma se è
            vero che di sovralimentazione si tratta, non è altrettanto vero che
            si tratti della stessa sovralimentazione: oggi il binomio
            necessario non è più turbo-potenza, ma turbo-coppia. Mentre anni
            fa il ricorso alla sovralimentazione era generato dalla necessità
            di raggiungere prestazioni elevate agli alti regimi, oggi l'obiettivo
            è più semplicemente quello di ottenere miglioramenti ai regimi
            intermedi, lasciando pressoché invariata la potenza massima.
            
 
Downsizing
        e nuove opportunità. Gli
            anni passano, il turbo cambia. In tutti i sensi. Anche in questo
            campo, oggi è il downsizing a farla da padrona: le alette
            dal profilo aerodinamicamente più evoluto, la capacità di
            garantire una maggiore portata e pressione d'aria, il flusso dei gas
            di scarico che investe le palette della turbina in modo non solo
            radiale ma anche assiale (mixed flow), l'inerzia ridotta al minimo grazie
            all'impiego di materiali più leggeri come leghe di titanio e
            alluminio... Sono tutti fattori che fanno invecchiare quelle
            certezze che fino a qualche anno fa ti assalivano quando parlavi di
            sovralimentazione: il principio secondo cui un turbo di grande
            diametro immette più aria agli alti regimi con la controindicazione
            di una minore efficienza nella zona bassa del contagiri e di una
            inerzia più elevata che si traduce in una maggiore lentezza nel
            salire di giri, è oggi ancora vero, ma non più così tanto vero come
            venti o trenta anni fa. Allo stesso modo, l'incapacità di un turbo
            di minori dimensioni di garantire elevate prestazioni agli alti
            regimi in cambio però di una maggiore prontezza di risposta e di
            una coppia più vigorosa ai regimi bassi e intermedi non è più un
            dogma intoccabile. Fino a qualche anno fa, la sicurezza di tali
            principi spingeva ad affrontare (e a risolvere) questi problemi
            attraverso l'abbinamento di due turbo di dimensioni differenti.
            Oggi, le innovazioni in termini di materiali e di gestione del
            flusso dei gas di scarico hanno rimescolato le carte, consentendo di
            arrivare a compromessi ed equilibri un tempo inimmaginabili. Per non
            parlare, poi, delle strade ancora poco battute ma senza dubbio
            percorribili: è il caso dei turbo con sistema Vtes, vale a
            dire turbo dotati di assistenza elettrica, azionati da un
            velocissimo motorino elettrico capace di accelerarli rapidamente
            sino a velocità nell'ordine di 70.000 giri al minuto, azzerando
            così il ritardo di risposta ai bassi regimi. Questo sistema prevede
            comunque l'impiego di un secondo turbocompressore azionato in modo
            tradizionale dai gas di scarico e che subentri quando quello
            elettrico sia arrivato al proprio regime massimo, ma non si può
            affatto escludere che si arrivi, prima o poi, all'impiego di un
            unico turbocompressore capace di abbinare sul suo albero sia il
            turbo mosso dai gas di scarico sia un motorino elettrico potente
            almeno 1,5 kW.
 
Twin
        scroll e scavenging. Ma
            se quando si parla di Vtes è ancora doveroso usare il tempo
            futuro, nel caso di altri sistemi è bene usare il presente. Oggi,
            per esempio, è soprattutto tempo di turbo twin scroll,
            capaci di massimizzare lo sfruttamento dell'energia dei gas di
            scarico attraverso l'impiego di due collettori indipendenti per
            l'ingresso nella turbina: ciascuno di questi due collettori
            convoglia i gas combusti di due dei quattro cilindri del motore, in
            modo tale da sfruttare le loro pulsazioni di pressione. E, nel caso
            dell'Alfa Romeo, è anche tempo di scavenging, un sistema per
            ottimizzare la sovralimentazione attraverso il lavaggio ad aria
            delle camere di combustione: nel caso del motore 1750 TBi, l'uso di
            due variatori di fase (uno all'aspirazione e uno allo scarico) viene
            sfruttato per raggiungere angoli di incrocio (il tempo in cui le
            valvole di aspirazione e quelle di scarico restano aperte
            contemporaneamente) così elevati ai bassi regimi da consentire ad
            una parte dell'aria aspirata (non miscelata alla benzina, perché
            l'iniezione è diretta) di fluire dal condotto di aspirazione a
            quello di scarico, aumentando così la quantità di gas che giunge
            al turbo che, in questo modo, sale di giri più rapidamente.
            Prestazioni, consumi e risposta del turbo ringraziano.
        
 
        
          
          
            
              | 
                  
  | 
            
            
              | 
                 il motore alfa romeo 1750 tbi  | 
            
          
          
         
         
        
Criticità. Però non è tutto qui. Sovralimentazione
            vuol dire anche maggiore complessità costruttiva e costi di
            produzione maggiori, questi ultimi bilanciati, però, dalla
            possibilità di coprire con un'unica cilindrata una intera gamma di
            motori aspirati. Ma, soprattutto, nonostante tutte le evoluzioni e
            gli affinamenti tecnici (e, in parte, proprio per questo!),
            sovralimentazione vuol dire ancora oggi maggiore rischio
            affidabilità. Innanzitutto, quando si parla di componenti che, a
            seconda delle dimensioni, possono raggiungere tra i 150.000 e i
            250.000 giri al minuto, l'equilibratura in sede di produzione
            richiede una precisione assoluta. Fondamentale è poi la
            lubrificazione, soprattutto nel caso dei turbodiesel, nei quali - al
            contrario di quanto accade nei motori a benzina - la parte dei
            cuscinetti del turbo non è quasi mai raffreddata ad acqua. E
            persino il diffondersi imperioso dei sistemi Start&Stop ha delle
            implicazioni che mettono a dura prova la resistenza del turbo, visto
            che le continue fasi di accensione e spegnimento provocano picchi di
            temperatura che sono deleteri per la zona delle bronzine su cui
            ruota l'alberino: in pratica, il rischio sempre presente è quello
            che il calore possa carbonizzare l'olio, causando danni (per deficit
            di lubrificazione) alle stesse bronzine. Insomma, pur con alti
            livelli di sofisticazione e precisione, un turbocompressore resta
            sempre un elemento complesso, fatto di tanti piccoli componenti
            sempre soggetti a sollecitazioni estreme, usure elevate e intensi
            attriti. E, a volte, tutto questo può anche arrivare a presentare
            il conto, che è un conto salato.
 
Note
        caratteristiche e vantaggi. Ma
            se, nonostante ciò, la sovralimentazione mediante turbocompressore
            è diventata dalla fine degli anni Ottanta una presenza scontata nei
            motori a ciclo Diesel e ha poi iniziato a diffondersi in modo
            massiccio e sistematico pure nei motori a ciclo Otto, un motivo
            ovviamente c'è. I turbodiesel, rispetto ai diesel aspirati,
            garantiscono maggiori prestazioni, consumi più bassi (in rapporto
            alle prestazioni offerte), gas di scarico più puliti. Nel caso dei
            turbobenzina, invece, il diffondersi del turbo ha ragioni più
            complesse e articolate. Il
            punto di partenza è sempre quello: immettere più aria nei cilindri
            vuol dire anche poter bruciare più carburante e, quindi,
            incrementare le prestazioni. Nei motori aspirati, in cui l'aria
            viene risucchiata grazie alla corsa discendente effettuata dai
            pistoni, la soluzione per garantire una maggiore immissione d'aria
            nelle camere di combustione consiste nell'aumentare il regime di
            rotazione: a parità di tempo, più cicli il motore riuscirà a
        compiere, più elevata sarà la potenza che esso saprà erogare. Nei
            motori sovralimentati, invece, proprio il vincolo dell'incremento
            del numero di giri viene meno: la quantità d'aria immessa riesce ad
            aumentare anche mantenendo invariato il numero di giri del motore,
            perché a spingere in modo forzato l'aria nelle camere di
            combustione ci pensa appunto un compressore che può essere di due
            tipi: può trattarsi di un turbocompressore oppure di un compressore
            meccanico. Nonostante la sua presenza all'interno dello scarico non
            rappresenti certo una cosa positiva (perché ha l'effetto di un
            parziale tappo che genera una pressione contraria), la via del
            turbocompressore è sicuramente la più vantaggiosa, perché
            l'energia necessaria per far muovere la turbina è fornita dagli
            stessi gas di scarico che altrimenti andrebbero completamente
            sprecati: infatti, sono proprio i gas di scarico del motore che
            azionano la turbina. Al contrario, il compressore meccanico viene
            azionato dal propulsore attraverso una cinghia, con la naturale
            controindicazione che l'energia necessaria viene fornita dall'albero
            motore: insomma, si tratta di potenza sottratta al motore (fino
            anche a 20 kW), potenza per produrre la quale è stata bruciata
            benzina. 
 
Un
        carattere diverso. In
            ogni caso, il vantaggio finale è quello di generare una maggiore
            coppia che, usata ai medi regimi per ridurre la cilindrata, per
            ridurre i rapporti di trasmissione e senza la pretesa di esagerare
            nell'incremento delle prestazioni, consente di diminuire i consumi
            rispetto ai motori aspirati di pari potenza massima, costretti a
            girare a regimi più elevati per "ingurgitare" la
            quantità d'aria necessaria a bruciare quantità adeguate di
            benzina. Certo, buona parte del piacere di guida e del gusto di
            sentire vivere un motore che è capace di raggiungere alti
            regimi di rotazione va irrimediabilmente perso, ma il passo diventa
            inevitabile di fronte alla necessità (anche allo scopo di
            rispettare normative ambientali sempre più stringenti) di contenere
            consumi ed emissioni inquinanti di auto che - dettaglio
            assolutamente non trascurabile - a volte raggiungono pesi folli e
            necessitano di coppie sempre più corpose per non mostrarsi pigre ai
            regimi intermedi. Ovvio, poi, che neanche nel caso dei motori
            sovralimentati sono tutti rose e fiori: è vero che la maggiore
            disponibilità di coppia ai medi regimi consente di ridurre
            cilindrate e di allungare i rapporti di trasmissione, permettendo
            alla fine di tagliare i consumi. E' però altrettanto vero che, se
            il propulsore è troppo piccolo rispetto al peso della vettura (cosa
            niente affatto rara in questa epoca di downsizing), i consumi
            reali finiscono con l'essere nettamente più elevati di quelli
            omologati e dichiarati dalle case costruttrici: i motori a benzina
            sovralimentati consumano meno dei motori a benzina aspirati solo se
            non vengono sollecitati troppo, cioè se si guida in modo da
            sfruttare la maggior coppia disponibile ai regimi intermedi; se
            invece si cede alla tentazione di veder oscillare la lancetta nella
            zona alta del contagiri, sono dolori: in tali condizioni, infatti,
            per non far salire in modo eccessivo la temperatura di combustione,
            diventa necessario iniettare moltissimo carburante. Insomma, mentre
            i vecchi turbo erano sinonimo di potenza, il turbo in salsa moderna
            aiuta soprattutto a limare consumi ed emissioni inquinanti, a patto
            però che l'appassionato non chieda più loro di regalargli le
            emozioni e l'adrenalina che solo un motore aspirato che gira in alto
            riesce a dare.
 
        
          
            | 
                
  | 
          
        
            
 
            
novembre
            2011