La storia dell'Alfa Romeo è una storia fatta anche di uomini. Tantissimi sono coloro che hanno contribuito alla creazione del mito Alfa Romeo: imprenditori, tecnici, dirigenti, impiegati, operai, piloti. Raccontare la storia di ognuno di essi è impresa impossibile. Qui di seguito, quindi, mi limito ad una breve rassegna di coloro che nella storia della Casa hanno forse lasciato le tracce più profonde.

 

 

 

 nicola romeo, il padre dell'alfa romeo  

 

 

Nicola Romeo nasce il 18 aprile 1876 a Sant'Antimo (Napoli). Nonostante le difficoltà economiche, studia fino alle lauree in ingegneria civile ed elettrotecnica ottenute a Napoli e a Liegi, in Belgio. Per un certo tempo vive in Francia e in Germania; poi inizia a collaborare con aziende inglesi e americane del settore ferroviario. Nel 1906 si mette in proprio e a Milano fonda la "Ing. Nicola Romeo & C." che importa dagli Stati Uniti macchinari (smontati) per le opere di ingegneria civile. Nell'ambiente industriale lo soprannominano "la sirena" per la grande capacità di sedurre e persuadere gli interlocutori. Durante la Grande Guerra, Romeo ingrandisce la sua società, acquisisce nuovi soci (tra i quali il banchiere Angelo Pogliani) e rileva l'Alfa appena messa in liquidazione, imponendole però di cessare la produzione di vetture per fare posto a quella di materiale bellico. L'affare arricchisce Romeo, il quale nel 1918, con il ritorno della pace, apre la società a nuovi capitali, ne cambia il nome in "Società anonima italiana Nicola Romeo & C." e riconverte un'altra volta la produzione, lanciandosi nel settore agricolo e in quello ferroviario. Solo un anno più tardi, come ultima risorsa, entra anche in quello automobilistico. A questo punto, però, cominciano seri problemi finanziari aggravati dal fallimento della banca che finanzia la società. Siamo alla fine del 1921 e il governo prende il controllo dell'Alfa Romeo attraverso la neonata Banca Nazionale di Credito (BIC). È il tramonto del potere di Romeo che resta amministratore delegato, ma che dagli uomini della BIC è ormai ritenuto sempre più inadatto a gestire un'azienda di quelle dimensioni. Seguono anni di alterne fortune, tra le quali la grande soddisfazione di vincere un campionato mondiale nel 1925. La sua avventura umana in Alfa sta per concludersi: nel 1928 gli chiedono le dimissioni in cambio del condono dei debiti. E per rendere meno amara la fine di una carriera, l'anno dopo il governo lo nomina Senatore del Regno. In seguito avvierà, senza fortuna, un'impresa per la produzione di motori d'aviazione. Il suo ultimo affare è un ritorno all'antico amore, i treni, dal momento che acquista alcune piccole ferrovie in Meridione. Muore a 62 anni, nel 1938, logorato dall'amarezza per l'estromissione dall'Alfa Romeo.

 

 

 

 giuseppe merosi, il primo progettista  

 

 

Se è vero l'aneddoto secondo il quale Henry Ford diceva di levarsi il cappello davanti alle Alfa Romeo, allora buona parte del merito di tanta deferenza va a Giuseppe Merosi, il primo progettista del Marchio del Biscione. Nasce a Piacenza nel 1872. Dopo gli studi da geometra, entra nel 1899 alla Orio & Marchand, un'azienda di biciclette che vuole convertirsi alla produzione di vetture. Dieci anni più tardi, dopo aver lavorato anche per la Fiat e per il reparto auto della Bianchi di Milano, Merosi fa il suo ingresso in Alfa con un incarico importante: direttore tecnico. Da quel momento la sua presenza in Azienda andrà di pari passo con il successo del Marchio. Il primo motore importante di Merosi è il "24 HP", un gioiello che nel 1910 (potenziato a 31 CV) sale anche sul biplano di Antonio Santoni e Nino Franchini, progettato e costruito tutto in Alfa. Ma per Merosi l'aviazione è una parentesi. Negli anni successivi, il progettista piacentino crea uno dei primi motori a valvole in testa, il "40-60 HP", che è il pioniere dei propulsori a due alberi a camme (sempre in testa) a 90°. Dopo la guerra, Merosi realizza il motore "RL", un motore a 6 cilindri innovativo perché può essere usato sia su vetture da turismo sia su auto da competizione: sarà prodotto in serie a partire dal 1923. La versione da turismo raggiunge nel primo anno di vita vendite record con 829 esemplari, mentre la versione sportiva, montata su chassis molto leggeri, partecipa alla Targa Florio conquistando il primo posto: il motore, conosciuto come "RL TF" (con riferimento, appunto, alla Targa Florio), farà conoscere l'Alfa anche all'estero. Ma, nonostante il successo del Marchio e dei suoi motori, la stella di Merosi è al tramonto. Nel 1926, il progettista si dimette e incomincia un lungo periodo di migrazione da una casa automobilistica all'altra, fino a quando, ormai settantenne, riesce a farsi riassumere dall'Alfa Romeo come progettista di veicoli industriali. Di lui restano le sue indimenticabili creature e aneddoti come questo: da mesi i disegnatori dell'Alfa non riuscivano a riconvertire un autocarro militare in posabinari; finalmente il compito passa a Merosi e in venti giorni il nuovo veicolo è pronto. Muore nel 1956.

 

 

 

 giorgio rimini, il braccio destro di romeo  

 

Appena finita la Grande Guerra, colui che muove l'attività creativa della divisione auto dell'Alfa Romeo e decide il carattere della produzione e la politica sportiva della Casa è Giorgio Rimini, braccio destro di Nicola Romeo. Di lui si sa molto poco. Nato a Palermo nel 1889, Rimini incomincia a collaborare giovanissimo con Romeo: prima come segretario; poi con funzioni di collegamento tra Romeo stesso, il progettista Merosi e i piloti; infine come responsabile commerciale. Lascerà la casa del Biscione nel 1926 per dirigere prima una fabbrica di motociclette e in seguito occuparsi della direzione commerciale della Magneti Marelli.

 

 

 

 vittorio jano, l'uomo che firmava le corse  

 

 

Vittorio Jano ha speso la propria vita per realizzare alcuni tra i più innovativi motori dell'Alfa. Nell'arco dei 14 anni durante i quali ha lavorato per il Portello, ha rivoluzionato il modo di costruire le auto. Nato a Torino nel 1891, Jano studia all'Istituto professionale e comincia a lavorare come disegnatore in una piccola azienda automobilistica. Due anni dopo va alla Fiat, dove nel 1923 è già a capo di un gruppo di disegnatori. Quello stesso anno, Enzo Ferrari gli propone di lavorare per l'Alfa Romeo. Dopo qualche esitazione, Jano accetta e a 33 anni inizia la sua collaborazione con il Portello. In Fiat, il progettista ha partecipato alla costruzione di tutte le vetture da corsa, compresa la vincente "805", della quale conosce pure i difetti. Forte di questa esperienza, Jano si mette al lavoro sulla nuova auto da competizione dell'Alfa, la "P2". Crea, così, un modello con una struttura più robusta, con un motore diverso da quello Fiat in molti dettagli, e - soprattutto - dotato di un'innovazione radicale: l'abbassamento dell'assetto. La vettura debutta al Grand Prix di Lione nel 1924, vince e la concorrenza lo imita subito. In verità, tutte le intuizioni di Jano fanno epoca: dal sei cilindri di 1500 cm3 creato per le auto da turismo alla prima monoposto dell'Alfa Romeo (la "P3", considerata una delle più grandi vetture da corsa di tutti i tempi). Rispetto a quelle del passato, l'auto ha uno chassis più stretto e il motore dispone di un migliore rapporto peso-potenza: innovazioni che tra il '32 e il '33 regalano alla vettura risultati entusiasmanti. Nel '34 esce la versione spider due posti sport/corsa della "P3", la "8C 2900 A". Pesa 850 kg a secco, ha un motore da 220 CV e ruote scoperte con fari e parafanghi simili a quelli delle moto. La vettura debutta alla Mille Miglia del '36 e conquista i primi tre posti. L'ultima creatura, la sfortunata "Gran Premio 12C" del 1937, è quella che, secondo alcuni, costa a Jano le dimissioni dall'Alfa Romeo. Ma per lui incomincia una nuova avventura alla Lancia, dove va a dirigere il reparto sperimentale. Muore nel 1965.

 

 

 

 ugo gobbato, l'alfa decolla  

 

Il 30 novembre 1933 prende le redini dell'Alfa Romeo Ugo Gobbato. L'incarico di direttore generale gli viene affidato da Mussolini stesso. Gobbato era nato il 16 luglio 1888 a Volpago del Montello, in provincia di Treviso, da una famiglia di piccoli proprietari terrieri. Con un diploma di perito industriale ed elettrotecnico va a lavorare in Germania dove si laurea in ingegneria meccanica. Durante la prima guerra mondiale si dedica alla costruzione di una fabbrica di aerei, esperienza che gli tornerà utile alla fine del periodo bellico, quando, assunto alla Fiat, sarà impegnato nella costruzione del Lingotto. Lavora per l'azienda torinese ancora dieci anni; poi, nel 1933, è incaricato di salvare l'Alfa Romeo dal fallimento. Gobbato punta su motori aeronautici, autocarri e furgoni per uso militare. L'attività sportiva, invece, non decolla. Quando entra in Alfa, infatti, le vetture di Jano cominciano a patire la concorrenza della Mercedes-Benz. Gobbato tenta di rimediare rivolgendosi a nuovi progettisti e riportando a Milano il reparto corse, migrato tempo prima a Modena, nella Scuderia Ferrari. Chiama anche un nuovo capo progettista, Wifredo Ricart, che si occupa dei motori delle auto sportive e di quelli aeronautici. Se sotto l'aspetto agonistico i risultati sono deludenti, Gobbato riesce a trasformare il Portello in una delle fabbriche per motori d'aereo più efficienti d'Europa: dal '33 al '43 le persone che vi lavorano passano da 1000 a 9500. Nel 1938, intanto, avvia la costruzione di un nuovo stabilimento a Pomigliano d'Arco (Napoli). Per tutto il periodo bellico, Gobbato resta a capo dell'azienda, anche quando questa è controllata dai tedeschi. Viene ucciso in un attentato il 28 aprile 1945, pochi giorni dopo la Liberazione.

 

 

 

 gioacchino colombo, l'allievo di jano  

 

Trent'anni passati nel vortice della progettazione di vetture Alfa Romeo: questa è la sintesi della vita di Gioacchino Colombo, l'allievo di Jano. Nato a Legnano il 9 gennaio 1903, Colombo comincia a lavorare a soli 14 anni nelle Officine Tosi, dove acquisisce esperienza nel campo dei motori diesel e delle turbine a vapore. Nel '24 entra all'Alfa Romeo per far parte dell'équipe che si sta occupando della nuova vettura sportiva "P2". Ad appena 25 anni diventa capo disegnatore sia delle auto da turismo sia di quelle da corsa. Nei primi anni Trenta, quando Jano è sempre più coinvolto nella direzione tecnica dell'azienda, Colombo ne diventa il braccio destro. Il suo lavoro, però, non è facilmente distinguibile da quello di Jano stesso, tanto che è incerta persino la paternità di modelli prestigiosi come la nuova "Alfetta" del '37 realizzata nella Scuderia Ferrari. Il progettista rientra al Portello assieme alla squadra nel '38 e lavora perlopiù su rivisitazioni di motori di Jano fino a quando lascia l'Alfa Romeo per altre case automobilistiche. Muore il 24 aprile 1987.

 

 

 

 wifredo ricart, un genio multiforme  

 

Anche se i progetti di Wifredo Pelayo Ricart y Medina non supereranno mai lo stadio del prototipo, sono ricordati nella storia dell'Alfa per il loro importante contenuto tecnologico. Wifredo Ricart nasce a Barcellona, in Spagna, il 15 maggio 1897. Si trasferisce in Italia con tutta la famiglia nel '36, in seguito allo scoppio della guerra civile spagnola, e nello stesso anno comincia a collaborare con l'Alfa Romeo, grazie alla sua personale conoscenza di Ugo Gobbato. Ricart è un genio multiforme: ex militare, poliglotta, appassionato di matematica, ingegnere meccanico, pilota d'aereo e corridore automobilistico. In Alfa Romeo lavora come consulente tecnico e si occupa della progettazione e della sperimentazione. Crea le monoposto "162" del '39 e "512" del '40, vetture dotate di soluzioni all'avanguardia come il compressore a doppio stadio. Suo è anche il coupé da competizione "163". Ma il capolavoro di Ricart è destinato all'aeronautica: il motore radiale "1101", con sette bancate di quattro cilindri ciascuna, costruito nel '42. Ricart progetta ancora il prototipo "6C 2000 Gazzella", che resta il suo ultimo lavoro in Alfa. Nel 1945 lascia il Portello e rientra a Barcellona, dove continuerà a lavorare nel settore automobilistico. Muore nel 1974.

 

 

 

 orazio satta puliga, il profeta della sicurezza  

 

 

Orazio Satta è l'ultimo dei grandi progettisti individuali dell'Alfa Romeo. Dopo di lui l'azienda si affiderà soprattutto al lavoro dei team. Nato a Torino il 6 ottobre 1910, Orazio Satta Puliga, ingegnere meccanico e aeronautico con la passione delle lingue straniere, entra in Alfa Romeo nel 1939, chiamato da Wifredo Ricart. Nel '46 diventa direttore della progettazione e della sperimentazione, nel '51 direttore centrale e nel '69 vicedirettore generale. Il merito di Satta sta non solo nell'aver progettato vetture di successo (una per tutte la "1900"), ma anche nell'aver contribuito a riorganizzare il sistema di produzione automobilistica secondo principi innovativi per l'epoca. Se oggi questi principi appaiono scontati, all'epoca (era il dopoguerra) hanno profondamente cambiato il modo di fare automobili. È sua, per esempio, l'introduzione del programma di ricerche scientifiche sulla dinamica del veicolo che seguiva le orme di quanto già fatto in America e in Germania. Antesignano delle politiche di marketing, il progettista sostiene che l'auto debba offrire, insieme: buone prestazioni, affidabilità e costi bassi. Questi ultimi ottenibili evitando di produrre in fabbrica tutti i componenti dell'auto. Quanto poi all'auto della famiglia media italiana nel dopoguerra, Satta la realizza più corta e stretta del passato, dunque più maneggevole, con dimensioni esterne ridotte e massimo spazio interno. La vuole anche più sicura e, secondo una concezione d'avanguardia, la realizza con la cellula abitativa rigida e le parti anteriori e posteriori ad alta deformabilità. Ad aprire il nuovo corso è la "Giulia". Satta muore nel '74, ma la sua eredità sarà ripresa dagli uomini ai quali il progettista ha attribuito il merito dei propri successi: Giampaolo Garcea, Giuseppe Busso, Ivo Colucci, Livio Nicolis e Consalvo Sanesi.

 

 

 

 rudolf hruska, con lui l'alfa va al sud  

 

 

Tra i personaggi che hanno contribuito in modo fondamentale alla crescita e all'espansione dell'Alfa Romeo c'è anche Rudolf Hruska, ingegnere meccanico nato a Vienna nel 1915. Dopo aver lavorato alla Magirus di Ulm e alla Porsche di Stoccarda, approda al Portello nel 1951 con la qualifica di consulente tecnico. Il suo primo compito è ridare vigore alla produzione della "1900", vettura ancora realizzata secondo i vecchi ritmi di produzione in una ventina di esemplari al giorno, ma il suo vero obiettivo è riorganizzare il lavoro in fabbrica per migliorare la produttività. Nel 1952 avvia il progetto "Giulietta", con l'obiettivo di produrne oltre 200 esemplari al giorno: il successo della vettura è strepitoso e vale a Hruska la nomina a direttore tecnico dell'Azienda. Nel 1956 diventa vicedirettore generale dell'Alfa Romeo e resta in carica fino al 1960, quando si dimette per diventare consulente tecnico della Fiat. Nel 1967 viene richiamato dall'Alfa Romeo per organizzare il nuovo stabilimento di Pomigliano d'Arco. Così, nel 1972, con una industrializzazione eseguita in tempo record, nasce la "Alfasud". Nel 1980, Hruska si dimette. Muore nel 1995. 

 

 

 

 giuseppe busso, un tecnico capace e ostinato  

 

 

Nato a Torino nel 1913, Giuseppe Busso è stato, nelle parole di Enzo Ferrari, un tecnico capace e ostinato. Diplomatosi perito industriale, entra in Fiat nel 1937 in qualità di calcolatore dell'Ufficio Tecnico Motori Aviazione (UTMA), passando poi all'Ufficio tecnico autoveicoli ferroviari sperimentali. Nel 1939 viene chiamato dall''Alfa Romeo che gli affida lo studio e il disegno di particolari per la fase di progettazione di vetture da corsa, sotto la direzione dell'ing. Orazio Satta Puliga. Dal 1939 al 1946, fa parte del Servizio Studi Speciali diretto dall'ingegnere spagnolo Wifredo Ricart. E' proprio in questi anni che Busso completa la propria preparazione tecnica e teorica grazie all'aiuto di Satta Puliga che gli procura pubblicazioni e dispense del Politecnico di Torino, diventando così un progettista a tutti gli effetti. Nel 1946, Gioacchino Colombo gli ventila la possibilità di assumere la direzione dell'Ufficio tecnico della Ferrari, già impegnata nello sviluppo della prima vettura, la "125 S": Busso accetta con entusiasmo. Lavora sulla "125" e nello stesso tempo, si occupa di due progetti di motori: una monoposto di 1500 cm3 a 12 cilindri con compressore e una sportiva di 6 cilindri, realizzati dividendo in due il motore della "125 S", progetti che però restano nei cassetti dell'Ufficio tecnico Ferrari. Lavora anche al progetto ed alla realizzazione della "Tipo 159" di 2 litri che vincerà, con Raymond Sommer, il Gran Premio Città di Torino del 1947. Dopo poco tempo, però, non condividendo le idee di Gioacchino Colombo e dopo avare collaborato allo studio della "Tipo 166", Busso lascia la Ferrari alla fine del 1947 e fa ritorno a Milano. Rientra in Alfa nel gennaio 1948 (come responsabile della progettazione della meccanica delle vetture) per rimanervi fino al 1977. Nel corso degli anni, Busso raggiunge le seguenti qualifiche ufficiali: caposervizio nel 1952, dirigente nel 1954, vicedirettore nel 1966, direttore nel 1969, vicedirettore centrale nel 1972 e infine condirettore centrale nel 1973. Per trent'anni, quindi, Giuseppe Busso è stato responsabile della progettazione di tutti gli organi meccanici delle vetture prodotte al Portello e ad Arese, comprese quelle da corsa, che tanta gloria hanno portato all’Alfa Romeo sulle strade e sui circuiti di tutto il mondo. Al suo nome sono legate le storie di tanti modelli illustri della storia dell'Alfa: la "1900", la "Giulietta", la "Giulia", la "Alfetta", la "Alfa 6", oltre che innumerevoli modelli da competizione e prototipi: uno per tutti, il prototipo della "Tipo 103", una vettura a trazione anteriore che poi verrà accantonata per avviare il ben più fortunato progetto "Alfasud" (guidato da Hruska). Muore all'età di 92 anni, il 3 gennaio 2006.

 

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